Nella giornata di ieri, tra le varie news del'Agenzia Giornalistica Italiana (AGI), girava una notizia riguardante il numero di laureati in Italia che sarebbe al di sotto della media del Cile e del Messico. A farci compagnia in coda alla classifica il Brasile (che però ricordiamo ha vinto un mondiale di calcio più di noi), la Turchia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Insomma, nonostante il numero di laureati sia in aumento, il nostro paese rimane ancora molto indietro. Tito Boeri, nell'ultimo numero di Internazionale si è ugualmente occupato della questione laureati, ma ne ha dato una lettura un po' più interessante. Partendo dalla constatazione che in Italia nel 2007 si sono laureate 299mila persone e che questa cifra tenderà a crescere nei prossimi anni, l'economista fa notare come l'università italiana sia ormai diventata di massa e richiama l'attenzione su come si possa reintrodurre un riferimento alla qualità.
A cosa servono e cosa ce ne facciamo di migliaia di laureati mal formati e con scarso interesse nelle materie di cui sono divenuti dottori? In questo senso il preoccupante dato messo in evidenza dall'AGI perde totalmente di significato.
Nessuno credo possa contestare il passo in avanti fatto nel rendere accessibile a tutti l'università. Non è giusto che sia la quantità di patrimonio familiare a stabilire fin dove una persona può o non può arrivare. Ma una volta data a tutti la possibilità di entrare in un'università, è necessario premiare esclusivamente chi se lo merita. Non si tratta di privilegi, ma solamente di merito. (Chi più lavora è giusto che abbia di più).
Come ricordava Boeri a conclusione del suo articolo:" Reintrodurre un riferimento alla qualità appare fondamentale, soprattutto nell'interesse dei laureati: se l'università non fornisce segnali adeguati, la selezione viene fatta dal mercato, che usa strumenti di valutazione molto più rozzi e probabilmente sensibili a criteri diversi dal merito".
1 commento:
Approvo in pieno! Servirebbe soprattutto un'università che aiuti lo studente ad entrare in contatto con il mondo del lavoro, mentre al momento le lauree triennali rimangono prettamente legate alla sola teoria. Esempio: in tre anni di corso di media e giornalismo non c'è una materia dedicata all'insegnamento della redazione di un articolo di giornale, né delle normative relative al giornalismo (come si diventa giornalisti? cos'è il praticantato? cos'è l'ordine dei giornalisti? che differenza c'è fra un giornalista pubblicista e un giornalista professionista? Potete trovare risposta a queste domande nel sito dell'Ordine dei giornalisti, anche se dovrebbe essere l'Università a dirvelo), né di come si effettua la sintesi di un articolo (conoscenza richiesta nell'esame per l'ammissione all'Albo dei giornalisti)...
Inoltre l'Italia spende poco rispetto alla media Ocse per scuola secondaria e Università e la politica dell'attuale governo include nuovi tagli invece di migliorare la situazione. Dati molto confortanti.
Posta un commento