mercoledì 30 luglio 2008

La progressività perduta

da http://www.deiricchi.it/

I cambiamenti alle tabelle avevano senso per tener conto dell'inflazione: questa infatti fa sì che uno scaglione dell'anno prima valga meno negli anni successivi. Le modifiche avrebbero dovuto quindi considerare la svalutazione della lira e aumentare gli scaglioni di riferimento di anno in anno. Ma ciò non è avvenuto, anzi è accaduto esattamente il contrario: nel tempo sono state ridotte le aliquote massime e gli scaglioni di riferimento. L’intento di abbandonare il sistema progressivo è ben chiaro se si confrontano i dati del numero di aliquote e scaglioni di riferimento: si è infatti partiti da 32 nel 1973, riducendoli a 9 nel 1982, con un ulteriore diminuzione a 5 nel 1986 per finire col proporre per il 2004 2 sole aliquote. Di più, il rapporto tra lo scaglione massimo e quello minimo di imposta è sceso dal valore di 250 : 1 del 1973 a quello paritetico, cioè di 1 : 1 proposto per il 2004.

Per indorare la pillola dell'ultima proposta di modifica che praticamente annulla la progressività fiscale, il titolo di prima pagina del più diffuso quotidiano italiano riportava che "il 99.5% dei contribuenti verserà il 23%, gli altri il 33%" ed era stato chiaramente dettato da precise affermazioni del viceministro all'economia:

Per prevenire la demagogia va fondamentalmente notato che l'aliquota del 23% riguarderebbe il 99.5% dei contribuenti, sostanzialmente tutto l'universo dell'Irpef. Non ha dunque senso l'obiezione demagogica secondo cui l'aliquota del 33% sarebbe troppo bassa producendo un "favore per i ricchi". [1]

Questo tipo di affermazioni, per chi ha almeno letto i paragrafi precedenti, sono, diciamo, un po' fuori tiro. Nel quotidiano compaiono anche due articoli: il primo, dedicato al funzionario tipo, dimostra come per questo, in certe condizioni e tenendo conto delle deduzioni sul reddito, "il carico tributario potrebbe calare di 4.5 milioni"; nel secondo, fatto apposta per il manager, il risparmio sarebbe più consistente, addirittura oltre il 30%.

Per rendersi conto invece di come sono andate le cose dal 1973 ad oggi, ripetendo i calcoli dell’imposta in vigore applicata ai valori di reddito attualizzati per i vari anni in cui sono state emanate le varie aliquote, si ottiene che:

- per un reddito di 42 milioni di lire l’incidenza dell’imposta è raddoppiata, passando dall’11.8% nel 1973 al 23.0% del 2003

- per un reddito di 1.2 miliardi di lire l’incidenza dell’imposta si è ridotta del 40%, passando dal 52.6% raggiunto nel 1986 al 31.4% del 2003

- per un reddito di 6 miliardi di lire l’incidenza dell’imposta è quasi dimezzata, passando dal 62.3% raggiunto nel 1982 al 32.7% del 2003.

Con un grafico è possibile evidenziare queste variazioni:

Immagine pagina

Figura 1

Non vi è quindi alcuna demagogia nel sostenere che, nel caso italiano, di fatto la normativa ha teso favorire una minore tassazione per i redditi più alti a sfavore di quelli più bassi. Quello che possiamo altresì notare è che questa tendenza non è imputabile a questo o quel colore politico, ma è rimasta quasi costante nel tempo. L’andamento delle aliquote è stato appunto quello di convergere verso due soli scaglioni e quindi verso un sistema fiscale non più progressivo ma puramente proporzionale. Che questa sia poi una volontà a livello internazionale è pure evidente negli articoli comparsi sulla stampa, dove l’aliquota unica, ovvero il sistema di tassazione proporzionale invece che progressivo, viene definito con i termini di “flat tax” (letteralmente “tassa piatta”):

Dopo i successi nell’Europa dell’Est l’economia tedesco Manfred Rose spera di marciare presto su Berlino - Propone una tassa uguale per tutti, che colpisce sopra una soglia minima soltanto i redditi derivanti dal lavoro, ma non quelli ottenuti dal risparmio o dagli investimenti. Manfred Rose, il guru europeo della “flat tax”, torna alla carica. “Nel ’94 ho introdotto il mio modello in Croazia e in giugno entrerà in vigore una riforma analoga in alcuni distretti della Bosnia Erzegovina, a partire da quello di Brcko, per poi allargarsi al resto del Paese”, spiega Rose. Ma sul tavolo si affastellano richieste da molti altri Paesi Emergenti, dal Brasile alla Lettonia, dal Messico alla Polonia, dall’Ungheria al Turkmenistan, interessati al sistema. […] il suo progetto per la Bosnia Erzegovina viene finanziato dal ministero tedesco per l’aiuto allo sviluppo, oltre che dal Fondo monetario e dall’Onu. […] secondo un rapporto del Fondo monetario la riforma di Rose ha dato il calcio di partenza al decollo dell’economia croata. “Oltre a semplificare enormemente i rapporti dei cittadini con il fisco – spiega il professore – il mio sistema facilita il risparmio e al tempo stesso rende redditizi investimenti che prima non avevano senso a causa dell’enorme carico fiscale. […] Maggiori investimenti portano più posti di lavoro, più reddito e quindi maggiori entrate per l’erario”. [2]

I concetti si ripetono in un altro articolo, questa volta in termini meno entusiasti che svelano finalmente le condizioni severe necessarie per l’applicazione di una tassazione proporzionale:

Ricerche Usa sugli effetti della riforma Reagan in termini di stimolo alla crescita sull’economia mostrano una certa elasticità (0.4-0.5% del Pil) alla politica fiscale. […] Ma quando si manifesta in concreto l’effetto elasticità? Non subito, ma in circa due anni. Da sola, dunque, la flat tax non stimola la crescita abbastanza da auto-finanziarsi. Occorre che l’economia italiana cresca più degli ultimi anni. [3]

Per giustificare l’operazione viene ancora una volta messa in campo la necessità del continuo sviluppo. Questo comporta però un inevitabile degrado dell’ambiente dovuto al suo maggior sfruttamento. Non è quindi una soluzione perseguibile senza l’impoverimento delle classi meno ricche e della stessa Terra, ma gli economisti in voga non sembrano stancarsi di sbandierare questo slogan.

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