mercoledì 19 novembre 2008

Inciucio boys

Nel Dizionario della lingua italiana di Tullio De Mauro (Paravia), alla voce inciucio si legge: "Nel linguaggio giornalistico, accordo informale fra forze politiche di ideologie contrapposte che mira alla spartizione del potere". Il primo a parlare di inciucio fu D'Alema nel 1995. " Una cosa- disse a Repubblica - m'inquieta: l'inciucione, ma glielo racconto un'altra volta". Poi, invece di raccontarlo, provò ad attuarlo, con il governo Maccanico e la Bicamerale, evitando di risolvere il conflitto d'interessi e mantenendo la promessa fatta a Berlusconi nel 1994 di non toccargli quanto aveva di più caro: le televisioni. Dopo tredici anni di acrobazie parlamentari dei nemici-amici del Cavaliere e di inciuci che hanno portato alla spartizione bipartisan della televisione pubblica, nonchè all'occupazione militare di quella privata da parte di un tale che era e, che, guarda caso, è tuttora capo del Governo, assistiamo ancora, come vittime di un incantesimo, a grottesche scene, testimoni di quella stessa, ormai ineluttabilmente radicata, tentazione al camuffare la bieca adesione alla maggioranza come un'opposizione, attraverso una manierata ipocrisia e la demonizzazione di chiunque denunci il suo doppio gioco - l'opposizione dei diversamente concordi, come l'ha definita mirabilmente Ellekappa-. La scena più recente è quella la scena quella andata in onda il 15 novembre ad Omnibus, programma d'approfondimento di La 7, poi rilanciata da Striscia la Notizia: in studio si discute sulla Vigilanza Rai con Nicola Latorre, vicecapogruppo Pd al Senato, Italo Bocchino, vicecapogruppo Pdl alla Camera e Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera. Latorre (amico dell'amico D'Alema, e quindi nemico del nemico Veltroni), si precipita in aiuto di un Bocchino palesemente in difficoltà, incapace di spiegare le ragioni per cui il Pdl pretenda di scegliere il presidente della Vigilanza: dopo aver afferrato un giornale, scrive alcune brevi note e le passa al presunto avversario. Bocchino legge, ripetendo ad alta voce: “Caro Donadi, non volevate Pecorella alla Consulta e noi l’abbiamo ritirato. Ora dovete fare lo stesso con Orlando”. Soddisfatto per la ricezione del suggerimento (sbagliato, tra l'altro, in quanto, in primo luogo, Pecorella non può andare alla Consulta per svariati motivi: è un deputato, è un imputato, è l’avvocato del premier ed è autore di leggi incostituzionali-; in secondo luogo perchè spetta all'opposizione la nomina del capo della Vigilanza, come accadde ai tempi dell’Ulivo, quando il Polo indicò Storace, votato dall’Ulivo senza alcuna resistenza), il suggeritore strappa il brandello di giornale e lo accartoccia. Le motivazioni di un simile gesto sono due: la prima è che Latorre, memore del caso Unipol, abbia smesso di telefonare e si sia affidato ai più sicuri pizzini; la seconda è che anche Latorre, per quanto possa sembrare strano, può rivelarsi di una certa utilità, soprattutto nei momenti di difficoltà. Degli amici berlusconiani, però. Viene in mente, osservando episodi come questo, la frase pronunciata da Ettore Petrolini ad uno spettatore che, urlando da un palco del teatro, interrompeva continuamente un suo spettacolo: "Nun ce l'ho co' te, ce l'ho cor tuo vicino che nun te butta de sotto".
Fonti: Marco Travaglio da www.voglioscendere.it

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