(da http://www.deiricchi.it/)
Il tema che “più uno è ricco più deve pagare” è stato ribadito sia dalla Rivoluzione inglese che da quella francese. Questi movimenti si erano infatti già resi conto che non può esserci giustizia, intesa come equilibrio dei gruppi di una collettività, se non vi è una corretta perequazione dei beni. Lo Stato dovrebbe quindi pretendere una maggior contribuzione da parte dei benestanti così da non gravare sui meno abbienti. Nelle rivoluzioni questa è stata un’idea fondamentale, dettata proprio per salvaguardare le classi con minore ricchezza che dalla rivoluzione si aspettavano un ristoro ai propri mali.
Nel caso dell’Italia, a partire dal 1877, il modo in cui i sudditi del Regno dovevano contribuire alle spese dello Stato venne stabilito con Regio Decreto [2] che approvava il Testo Unico delle leggi di imposta sui redditi della cosiddetta "ricchezza mobile" (costituita dai redditi in denaro o in natura derivanti da capitale o da lavoro). Questa norma rimase in vigore fino al 1958. [3] Successivamente alla caduta della monarchia, l'Assemblea Costituente, approvando il 22 dicembre 1947 la Costituzione della nuova Repubblica, trattava dell'imposizione fiscale in termini di progressività disponendo che
tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. [4]
A seguito della disposizione costituzionale nel 1958 venne emanato il "Testo unico delle leggi sulle imposte dirette" che sostanzialmente innovava il precedente Regio Decreto del 1877, istituendo varie imposte (successivamente abolite) cui si sommava la già nota imposta complementare progressiva sul reddito. [5]
Nel 1973 venne emanata una riforma fiscale che istituiva l'imposta sul reddito delle persone fisiche abolendo quelle precedentemente fissate. [6] L'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo venne sostituita da una nuova imposta che assorbiva le precedenti (non più quindi complementare) calcolata in modo progressivo. [7] Per fare degli esempi attualizzando l’imposta si otterrebbero i seguenti dati:
- un reddito di 42 milioni di lire pagherebbe un’imposta di lire 4'957'665, pari al 11.8% del reddito
- per i redditi di 1.2 miliardi e 6 miliardi di lire l'imposta sarebbe rispettivamente del 42.3% e del 58.7%
che conferma come la progressività faccia effettivamente pagare una quota maggiore a chi guadagna di più.
Una minima variazione alla normativa si ebbe nel 1975, [8] ma solo con il Decreto Legge 30 dicembre 1982, n. 953, scaglioni e aliquote furono drasticamente ridotti (da 32 a 9): la soglia (attualizzata) inferiore di reddito fu alzata a quasi 30 milioni, quella superiore fu abbassata a 1.4 miliardi di lire. Una successiva variazione fu apportata nel 1986, [9] ma durò solo un anno in quanto venne approvato un altro testo unico delle imposte sui redditi. [10] Scaglioni di reddito e aliquote furono rideterminati riducendone ulteriormente il numero a 5. L'ultima proposta, che fu annunciata al grande pubblico nel dicembre del 2001, è stata quella di ridurre le aliquote Irpef (probabilmente nel 2004?) a due soli scaglioni.
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[1] Quello che verrà presentato potrebbe non essere uno studio esauriente. Spero comunque che quanto riportato possa risultare utile spunto per altre ricerche più approfondite.
[2] Regio Decreto 24 agosto 1877, n. 4021.
[3] Il Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) 29 gennaio 1958, n. 645, la modificò sostanzialmente. Nel frattempo era stato emanato anche il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3062, istitutivo della imposta complementare progressiva sul reddito.
[4] Cfr. Costituzione Italiana, art. 53.
[5] Trattata nel suo titolo VI. Il presupposto era costituto da un reddito complessivo (derivante quindi sia da capitale che da lavoro) superiore alle 540'000 lire. Questa cifra, rivalutata secondo coefficienti che tengono conto del potere d'acquisto, nel 2002 varrebbe circa 5'600 euro. Il sistema era di tipo progressivo e utilizzava aliquote che andavano dal 2% al 65%, per 16 scaglioni di reddito che aumentavano da 240'000 lire a 500 milioni di lire. Questi valori, rivalutati al 2002, corrispondono rispettivamente a circa 2'400 e 5'000 €. Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 ha abolito le seguenti imposte: a) le imposte sul reddito dominicale dei terreni, sul reddito agrario, sul reddito dei fabbricati e sui redditi di ricchezza mobile, l'imposta speciale sul reddito dei fabbricati di lusso, le relative sovrimposte erariali e locali b) l'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo, l'imposta sulle società e l'imposta sulle obbligazioni c) l'imposta comunale sulle industrie, i commerci, le arti e le professioni e la relativa addizionale provinciale d) le imposte comunali di famiglia, di patente, sul valore locativo e il contributo per la manutenzione delle opere di fognatura e) il contributo di cura, le contribuzioni speciali sui pubblici spettacoli e la tassa di musica applicati nelle stazioni di cura, di soggiorno e di turismo f) le imposte camerali previste dall'art. 52, lettere e) e d) del R.D. 20 settembre 1934, n. 2011 g) le addizioni erariali e locali agli indicati tributi. Con il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 è stata istituita l'imposta sul reddito delle persone giuridiche e sono stati abrogati gli stessi tributi citati per la parte relativa alle persone giuridiche.
[6] D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. L'art. 1 recita che: "Presupposto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso dei redditi, in denaro o in natura, continuativi od occasionali, provenienti da qualsiasi fonte."
[7] La norma istituiva ben 32 aliquote che andavano dal 10% al 72%, ripartite su scaglioni che partivano da 2 milioni fino a 500 milioni. Se attualizzassimo i valori, un reddito fino a poco più di 23 milioni di lire pagherebbe il 10% di imposta; la progressività verrebbe spinta fino a quasi 6 miliardi di lire, pari a circa 3 milioni di euro.
[8] Con la Legge n. 576 del 2 dicembre 1975.
[9] Con D.L. 5 marzo 1986, n. 57.
[10] Con il D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986.
Il tema che “più uno è ricco più deve pagare” è stato ribadito sia dalla Rivoluzione inglese che da quella francese. Questi movimenti si erano infatti già resi conto che non può esserci giustizia, intesa come equilibrio dei gruppi di una collettività, se non vi è una corretta perequazione dei beni. Lo Stato dovrebbe quindi pretendere una maggior contribuzione da parte dei benestanti così da non gravare sui meno abbienti. Nelle rivoluzioni questa è stata un’idea fondamentale, dettata proprio per salvaguardare le classi con minore ricchezza che dalla rivoluzione si aspettavano un ristoro ai propri mali.
Nel caso dell’Italia, a partire dal 1877, il modo in cui i sudditi del Regno dovevano contribuire alle spese dello Stato venne stabilito con Regio Decreto [2] che approvava il Testo Unico delle leggi di imposta sui redditi della cosiddetta "ricchezza mobile" (costituita dai redditi in denaro o in natura derivanti da capitale o da lavoro). Questa norma rimase in vigore fino al 1958. [3] Successivamente alla caduta della monarchia, l'Assemblea Costituente, approvando il 22 dicembre 1947 la Costituzione della nuova Repubblica, trattava dell'imposizione fiscale in termini di progressività disponendo che
tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. [4]
A seguito della disposizione costituzionale nel 1958 venne emanato il "Testo unico delle leggi sulle imposte dirette" che sostanzialmente innovava il precedente Regio Decreto del 1877, istituendo varie imposte (successivamente abolite) cui si sommava la già nota imposta complementare progressiva sul reddito. [5]
Nel 1973 venne emanata una riforma fiscale che istituiva l'imposta sul reddito delle persone fisiche abolendo quelle precedentemente fissate. [6] L'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo venne sostituita da una nuova imposta che assorbiva le precedenti (non più quindi complementare) calcolata in modo progressivo. [7] Per fare degli esempi attualizzando l’imposta si otterrebbero i seguenti dati:
- un reddito di 42 milioni di lire pagherebbe un’imposta di lire 4'957'665, pari al 11.8% del reddito
- per i redditi di 1.2 miliardi e 6 miliardi di lire l'imposta sarebbe rispettivamente del 42.3% e del 58.7%
che conferma come la progressività faccia effettivamente pagare una quota maggiore a chi guadagna di più.
Una minima variazione alla normativa si ebbe nel 1975, [8] ma solo con il Decreto Legge 30 dicembre 1982, n. 953, scaglioni e aliquote furono drasticamente ridotti (da 32 a 9): la soglia (attualizzata) inferiore di reddito fu alzata a quasi 30 milioni, quella superiore fu abbassata a 1.4 miliardi di lire. Una successiva variazione fu apportata nel 1986, [9] ma durò solo un anno in quanto venne approvato un altro testo unico delle imposte sui redditi. [10] Scaglioni di reddito e aliquote furono rideterminati riducendone ulteriormente il numero a 5. L'ultima proposta, che fu annunciata al grande pubblico nel dicembre del 2001, è stata quella di ridurre le aliquote Irpef (probabilmente nel 2004?) a due soli scaglioni.
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[1] Quello che verrà presentato potrebbe non essere uno studio esauriente. Spero comunque che quanto riportato possa risultare utile spunto per altre ricerche più approfondite.
[2] Regio Decreto 24 agosto 1877, n. 4021.
[3] Il Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) 29 gennaio 1958, n. 645, la modificò sostanzialmente. Nel frattempo era stato emanato anche il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3062, istitutivo della imposta complementare progressiva sul reddito.
[4] Cfr. Costituzione Italiana, art. 53.
[5] Trattata nel suo titolo VI. Il presupposto era costituto da un reddito complessivo (derivante quindi sia da capitale che da lavoro) superiore alle 540'000 lire. Questa cifra, rivalutata secondo coefficienti che tengono conto del potere d'acquisto, nel 2002 varrebbe circa 5'600 euro. Il sistema era di tipo progressivo e utilizzava aliquote che andavano dal 2% al 65%, per 16 scaglioni di reddito che aumentavano da 240'000 lire a 500 milioni di lire. Questi valori, rivalutati al 2002, corrispondono rispettivamente a circa 2'400 e 5'000 €. Il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 ha abolito le seguenti imposte: a) le imposte sul reddito dominicale dei terreni, sul reddito agrario, sul reddito dei fabbricati e sui redditi di ricchezza mobile, l'imposta speciale sul reddito dei fabbricati di lusso, le relative sovrimposte erariali e locali b) l'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo, l'imposta sulle società e l'imposta sulle obbligazioni c) l'imposta comunale sulle industrie, i commerci, le arti e le professioni e la relativa addizionale provinciale d) le imposte comunali di famiglia, di patente, sul valore locativo e il contributo per la manutenzione delle opere di fognatura e) il contributo di cura, le contribuzioni speciali sui pubblici spettacoli e la tassa di musica applicati nelle stazioni di cura, di soggiorno e di turismo f) le imposte camerali previste dall'art. 52, lettere e) e d) del R.D. 20 settembre 1934, n. 2011 g) le addizioni erariali e locali agli indicati tributi. Con il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598 è stata istituita l'imposta sul reddito delle persone giuridiche e sono stati abrogati gli stessi tributi citati per la parte relativa alle persone giuridiche.
[6] D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597. L'art. 1 recita che: "Presupposto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso dei redditi, in denaro o in natura, continuativi od occasionali, provenienti da qualsiasi fonte."
[7] La norma istituiva ben 32 aliquote che andavano dal 10% al 72%, ripartite su scaglioni che partivano da 2 milioni fino a 500 milioni. Se attualizzassimo i valori, un reddito fino a poco più di 23 milioni di lire pagherebbe il 10% di imposta; la progressività verrebbe spinta fino a quasi 6 miliardi di lire, pari a circa 3 milioni di euro.
[8] Con la Legge n. 576 del 2 dicembre 1975.
[9] Con D.L. 5 marzo 1986, n. 57.
[10] Con il D.P.R. n. 917 del 22 dicembre 1986.
1 commento:
Con i redditi forfetari delle partite IVA, sempre al di sotto di quelli veri, e con i tributi proporzionali sui consumi giornalieri, otteniamo una progressività rovesciata colpendo i redditi fissi,veri,ed i disoccupati. L'esatto contrario delle volontà dei nostri COSTITUENTI.
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