venerdì 8 febbraio 2008

Moratoria sull'aborto (il parere di una donna)

Moratoria sull’aborto. L’aborto è un crimine, un assassinio e la legge 194 lo rende legale. Giuliano Ferrara parla della procreazione frutto dell’amore e strappa applausi all’affollatissima platea raccoltasi nel sottochiesa di Piazza Giotto ad Arezzo. Come non esser d’accordo? Chi crede davvero che abortire sia come andare dalla parrucchiera?
“La 194 non si tocca”, dicono i politici e Ferrara li cita. Ma le donne, cosa dicono o vivono? Se la legge sulla privacy lo consentisse si scoprirebbe che un numero impressionante delle donne che sono in terapia da un’analista hanno abortito. Conseguenze psicologiche devastanti. Non per la condanna sociale che crea rimorsi di coscienza – la legge anche lo consente – ma perché è un atto contro natura, contro se stesse.
L’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) è davvero la dimostrazione del fallimento di una società.
Allora quello che mi aspetterei da un opinion maker, quale Ferrara, è che usasse il suo potere per far modificare le leggi, per esempio per snellire le pratiche sulle adozioni; per migliorare gli interventi politici a sostegno delle donne sole. Soprattutto vorrei che si impegnasse per modificare la mentalità e aumentare la consapevolezza. Mi spiego meglio. Quando è nata la mia terza figlia, all’ospedale c’era una giovane donna, una tedesca, che, partorito, “abbandonò” il bambino. I commenti delle infermiere, ottime professioniste e brave persone, nella stanza di terapia semi-intensiva dove ci trovavamo, erano impietose, dietro la maschera della pietà per il bambino. “Ma come si fa a partorire e lasciare un bambino così?”. “L’avete vista come viene di fretta?” “Senza cuore”… E cose del genere. Io pensavo al coraggio che questa donna aveva avuto, al rigore morale, al dolore che comunque doveva provare e da cui si doveva salvaguardare non guardando troppo quel suo figlio. Spesso ho pensato a lei nel corso degli anni. Chiedo, ora che anche le Ruote sono state istituite di nuovo, di valorizzare certe scelte. Una volta le Ruote erano una dolorosa vergogna e furono chiuse. Le donne dovevano ricorrerci perché impedite dalla condanna sociale a tenere un figlio da sole, un figlio “del peccato”; o perché impossibilitate dalla miseria. Oggi la condanna sociale non è così pesante per le madri nubili: ma le politiche davvero aiutano queste donne? Ancora: oggi le condizioni economiche possono spingere a lasciare un figlio nella Ruota? Lavoriamo su questo. E lavoriamo perché se una donna ha il coraggio di non interrompere la gravidanza, anche se la legge glielo consente, e decide di nutrirlo per nove mesi nel suo corpo con il rischio di affezionarcisi, e sceglie di non tenerlo e prende accordi perché sia accolto da una famiglia, guardiamola, quella donna, con grande rispetto. Diciamolo, ripetiamolo.
Inutile, retorico, parlare della procreazione frutto dell’amore quando si parla di aborto. A volte un figlio è figlio di uno sbaglio, a volte anche di uno stupro.
Arezzo fu la città pilota, insieme a Trieste, per la chiusura dei manicomi. Legge 180. Si fondava su un’idea bellissima, voluta da Basaglia e dall’equipe di psichiatria democratica. Peccato che poi non furono fatte politiche adeguate (prima promesse) di sostegno alle famiglie e di inserimento sociale. Così molti furono i suicidi, molte le famiglie sole e disperate, spesso gli ex-degenti tornavano a gironzolare all’ex-ospedale psichiatrico, perché era l’unico posto in cui si sentissero a loro agio.
Con la legge 194 sta accadendo lo stesso, al rovescio. Nella mia memoria di allora ragazza ai suoi primi voti, ricordo che quella doveva essere la soluzione agli aborti clandestini, quasi una fase transitoria, da superare con l’informazione sui contraccettivi ecc, ecc.
Quanto si è fatto perché l’I.V.G. fosse eliminata? Tanto si può fare. Di questo vorrei che si parlasse, su questo vorrei ci si impegnasse, non basta dire: è un delitto - quindi togliamo la legge.
Cassandra
05/02/2008

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