domenica 27 gennaio 2008

Un giorno per ricordare

27 gennaio 1945: l'armata rossa entra nel campo di sterminio di Auschwitz, scoprendo il vero orrore del Terzo Reich.
Nel 2000, con la legge 211, viene istituito il Giorno della Memoria.
Oggi a 63 anni da questo avvenimento ci viene richiesto per l'ennesimo anno di non dimenticare il genocidio che mise in atto Hitler, perchè tutto ciò non accada più.

Recentemente mi è capitato di assistere nella mia scuola ad una conferenza tenuta dal noto attore teatrale Moni Ovadia, che con la sola modulazione della voce, con gli accenti e le pause, ha saputo accattivarsi una platea di 500 persone, restando semplicemente seduto.
Non è stata l'usuale conferenza sulla Shoah.
L'attore ha innanzitutto spiegato l'importanza della memoria: "La memoria serve per navigare nella vita. Un uomo senza memoria è in balia di chiunque"; per poi continuare alle motivazioni della discriminazione razziale: "Nella storia dell'uomo qualcuno si è sempre ritenuto superiore a qualcun altro. (...) Il problema non era degli ebrei, ma della società occidentale che vedeva gli ebrei esseri diversi."
Attraverso le sue provocazioni Ovadia ha saputo cogliere il vero scopo di questa giornata: l'educazione alla tolleranza e all'accettazione del prossimo.
Come ha sostenuto lui stesso, affinchè non accada più qualcosa di simile, bisogna liberarsi dal pregiudizio e accogliere il prossimo, con tutto il suo ingombro.
Se la nostra società riuscisse a realizzare tutto ciò, probabilmente vivremmo in un mondo migliore.

1 commento:

socrate ha detto...

"Alla fine mentre ricostruivamo il passato (traversato da continui moniti a non dimenticare perché non succeda più) ci siamo resi conto che quel che ascoltavamo come esecrabile racconto del passato lontano era presente e vicino, continuava ad avvenire sulla scena del mondo. Così quelle memorie marginali sono oggi ancora dolorosamente al centro della scena della guerra, e della morte che ci accompagna e che segna anche il futuro, le nostre vite, quelle delle democrazie occidentali, quelle dei nostri nipoti, apocalissi quotidiane, il passato si è fatto futuro, ascoltando donne e uomini dimenticati ci siamo trovati nella frontiera più attuale del mondo".
Sono parole scritte dall'antropologo Pietro Clemente, nel libro "Poetiche e politiche del ricordo. Memoria pubblica delle stragi nazifasciste in Toscana", curato con Fabio Dei. Il riferimento riflette sullo slogan lanciato dall'Onu nel dopoguerra e ricorrente in quegli anni: "ricordare perché non accada più". La macchina terribile del genocidio attuato nei campi di sterminio era stata sconfitta, ed era difficile pensare che in un futuro potesse riproporsi, almeno in Europa, nell'occidente moderno e industrializzato. Invece abbiamo dovuto (ri)vivere anche noi da molto vicino quegli eventi, con la guerra nei Balcani. A distanza di cinquanta anni la strage si ripete e il dovere di testimoniare, di raccontare, di ricordare ritorna e diventa proprio anche della gente di quei paesi. Questi episodi ci fanno riflettere, ci pongono degli interrogativi: "Perché la violenza?"... qualche libro la spiega come un prodotto generato "dall'alto", dal potere, dalla politica, che poi viene trasmesso alla società. In quegli anni infatti nei territori della ex-Iugoslavia salgono al governo movimenti nazionalisti. Questi movimenti vogliono riportare certezza in un mondo che, per via della globalizzazione va sempre più verso una mescolanza di popoli che annulla i confini generando confusione. Quindi si apre un conflitto fra località e globalità. Si inizia a dire: questo è il mio territorio e tu non ci puoi stare. Si tracciano confini. Nascono ideologie che vengono inculcate "dall'alto" al basso. Il discorso nella sua completezza è difficile da affrontare in un commento perciò mi fermo a questa parte, che intando ci può invitare ad una riflessione. E alla fine ci riporta sulla traccia inserita da MacicFairy nel suo post: "bisogna liberarsi dal pregiudizio e accogliere il prossimo", "educare alla tolleranza".